Il tempo dilatato e sincopato del Covid ha prolungato un progetto in una casa rifugio del centro antiviolenza Butterfly di Brescia. Quella fu l’occasione. A quel punto, con le donne ospiti, lavoravamo già da più di un anno. Ho proposto loro la lettura di “Una stanza tutta per ” di Virginia Woolf.

Eravamo un gruppo di donne di molte lingue, di molte storie diverse, e la ricerca del testo in tutte le lingue necessarie mi ha portata qui.

Qui, alla nascita e alla realizzazione di quest’opera che, come il testo che si sta traducendo in tutte le lingue e i linguaggi del mondo, vuole essere non una critica, ma una limpida analisi, un viaggio sul filo della storia, tra le parole di cui è composta.

“Conoscere la storia per divinare il futuro”.

In principio era l’idea di tradurre in tutte le lingue un testo che, come molti altri, è ancora all’indice in alcune culture, mettendo in evidenza la mancanza di accesso alla cultura ancora esistente. Anche sotto i nostri occhi le biblioteche delle nostre città sono in ritardo sulla vita che scorre al loro intorno. Qui mi ha portato la ricerca alle radici della violenza sulle donne.

Cosa significa tradurre? È la prima domanda emersa. Io ero lì, davanti a lei, ma non sapevo come dirle una cosa che dicevo abitualmente, non gliela sapevo dire, nemmeno mimare. Il linguaggio è un impianto visivo di contenuti, prima ancora che lessicale.

Tradurre non è solo passare da un suono all’altro, è un passaggio da un mondo all’altro. Da quest’opera emerge, fortemente, la necessità di uno spazio di comprensione tra mondicosì come di presupposti condivisi. “Per generare servono tre elementi, due diversi e un legame tra loro”.

La diversità, quindi, come elemento creativo, la multiculturalità come valore.

La narrazione di Virginia porta consapevolezza, ci porta con sguardo leggero, con poesia, all assenza totale delle donne nella narrazione, la mancanza di modelli di donna nati da donne per le donne. Ci mostra come tutto ciò che sappiamo di noi è frutto dell’immaginario di un uomo. Questa presa di coscienza ci porta a seguire il filo della narrazione che ha generato i modelli, quei modelli frutto di una narrazione parziale che ancora oggi dà forma alle nostre vite, alla nostra visione del mondo. L’evidenza del potere della storia, che poggiando su di un unico modello, in effetti, non può fare altro che ripetersi.

“Questa cultura patriarcale non ha fatto bene a nessuno” uomini e donne, la violenza di genere riguarda entrambi.

È attraverso la narrazione e la ripetizione che sono stati creati i modelli negativi che ognuna di noi si porta ancora sulle spallesiamo tutte ancora figlie di Eva e Pandora, tutti i mali del mondoLa conoscenza di questo meccanismo di naturalizzazione degli stereotipi, in potenza, può generare la coscienza dello strumento stesso. Creare storia per creare mondi.

Quando è nata quest’opera, per molti mesi è avvenuta alla tastiera di un pc, il filo della rete l’ha portata in giro, permettendo un dialogo globale in un momento di chiusura totale. Poi, è diventata in presenza, da mesi, nelle vesti di raccontastoria, vado chiedendo aiuto per realizzarla, poiché può nascere solo così, ad opera di tutte/i, ad opera di ognuna/o.

Ho incontrato grandi docenti e meravigliose/i studenti. Ognuno dà il suo contributo all’opera diventando opera stessa. Non mi è dato sapere cosa germoglierà del seminato, ciò che socertamente è che sapere fa vedere, e fa vedere “sempre più chiaramente”.

Ogni partecipante riceve due pezzi uguali di tela bianca sulla quale, con filo o penna rossa, è invitato a scrivere il “versetto” assegnato su di uno, mentre sull’altro scriverà la sua traduzione/interpretazione.

L’intero testo del saggio di Virginia Woolf è stato così tradotto diventando una immensa opera, testimone e documento del possibile.

INVIA una email a patrizia@patriziafratus.com
Ad ognuna\o verrà assegnato un versetto da tradurre.
Serviranno due pezzi di tela bianca, trenta per quaranta cm, del filo rosso o una penna rossa indelebile.
Potrà essere ricamato o scritto.
Su di un telo il versetto in italiano, sul secondo, la,traduzione, coinvolgendo una persona di altra lingua madre, anche quelle chiamate dialetti.
È importante riportare su entrambe i teli il numero del versetto e del capitolo.
È importante documentare questa nostra riscrittura di Virginia anche in tutte le lingue che non l’hanno ancora conosciuta.
È importante il nostro impegno di narratrici della nostra storia, fotografatevi con l’opera prima di spedirla. Nella email ci sarà l’indirizzo a cui mandare.
Verranno poi cucite per diventare un’immensa meravigliosa installazione alla quale siamo tutte\i invitate\i.
Tutte le immagini inviate e i nominativi delle aderenti al progetto saranno pubblicate ovunque sia opportuno ai fini del progetto.
Ivi incluse pagine fb instagram #virginiapertutte.

PERCHE’

Come è noto, Una stanza tutta per sé è un saggio che ripercorre la vicenda umana e letteraria dell’autrice Virginia Wolf, volto a rivendicare, per il genere femminile, il diritto e la possibilità di far parte del mondo culturale che all’epoca era di esclusivo appannaggio maschile; partendo da questa centrale volontà il saggio prova a scardinare e decostruire lo stesso linguaggio maschile e patriarcale sia in ambito letterario che, più ampiamente, sociale e politico, liberando la donna da secoli di silenzio e sudditanza. 

Tali temi, al centro dell’intera ricerca di Patrizia Benedetta Fratus, caratterizzano il progetto VirginiaPerTutte: l’intento è infatti quello di rendere evidente la mancanza di traduzioni e la necessità di tale fruibilità dell’intero testo; e al contempo di dimostrare come l’antica pratica della tessitura sia un elemento cruciale per la tessitura di una rete sociale, forte e consapevole di donne di ogni geografia e cultura. VirginiaperTutte è un lavoro esteso, dinamico, partecipativo, collettivo: sarà creato in un lungo arco temporale (2021-2023), volendo in primo luogo porsi come progetto rivolto alla valorizzazione dell’identità culturale.

MANIFESTO

Dio creò il mondo con dieci parole e, se così posso dire, le parole sono i mattoni della creazione. In queste due frasi l’acme, la rappresentazione del potere della parola suggellata dell’inespugnabile «me lo ha detto il cielo».
Così comincia e continua la nostra storia, fatta di storie, di parole.
Le parole, molto più che suoni, sono significanti.
La ricchezza di vocaboli evoca la ricchezza di una cultura: più parole, più immagini, più modelli, più possibilità.
Quelle parole/immagini che abbiamo assunto con il latte materno di cui siamo costituite, per ognuna di noi i significanti della cultura di nascita.
Il cambio di idioma non determina solo il cambio di suono.
Da qui la domanda: come possiamo comprenderci se le stesse parole rimandano a immagini diverse, a significati diversi?
Come possiamo comprenderci se non abbiamo modelli condivisi?
Servono quindi dei presupposti comuni e l’accesso ad essi.
Immaginari collettivi  per attivare uno scambio interculturale che diventi scambio interpersonale.
Questa è la proposta.
Il testo che farà da filo conduttore per l’opera/azione di traduzione collettiva è «Una stanza tutta per sé» di Virginia Woolf, in esso il cuore della mia materia. Noi potremo essere quel che siamo dal momento in cui potremo autodeterminarci; ciò passa attraverso l’autosufficienza economica e ancor prima dall’autosufficienza intellettuale.
Sapremo chi siamo quando ci spoglieremo dalla coltre di stereotipi e narrazioni.
Tradurre insieme ci porterà in un viaggio attraverso la nostra e l’altrui cultura, troveremo le similitudini, le disuguaglianze e le mancanze.
Ognuna/o di noi avrà una frase del testo, su di un pezzo di tela bianca la vergherà in rosso, il colore sacro, con del filo o una penna indelebile.
Il filo e la tessitura sono dichiaratamente una strategia del femminile, ma non certo più la sola.
Da tempo ragionavo su questo lavoro, tanti pensieri, tante parole, poi, è arrivata Ananke e ha tolto i fronzoli, per dirlo con Virginia; allora ho visto un cielo attraversato da lunghi fili di fogli bianchi solcati di rosso: fogli come bandiere, bandiere come preghiere, nell’aria.
La scultura siamo noi.